§ 1. Votum, idest promissio deliberata ac libera Deo facta de bono possibili et meliore, ex virtute religionis impleri debet.
§ 2. Nisi iure prohibeantur, omnes congruenti rationis usu pollentes, sunt voti capaces.
§ 3. Votum metu gravi et iniusto vel dolo emissum ipso iure nullum est.
§ 1. Il voto, ossia la promessa deliberata e libera di un bene possibile e migliore fatta a Dio, deve essere adempiuto per la virtù della religione.
§ 2. Sono capaci di emettere il voto tutti coloro che hanno un conveniente uso di ragione, a meno che non ne abbiano la proibizione dal diritto.
§ 3. Il voto emesso per timore grave e ingiusto o per dolo, è nullo per il diritto stesso.
§ 1. A vow, that is, a deliberate and free promise made to God about a possible and better good, must be fulfilled by reason of the virtue of religion.
§ 2. Unless they are prohibited by law, all who possess suitable use of reason are capable of making a vow.
§ 3. A vow made out of grave and unjust fear or malice is null by the law itself.
§ 1. El voto, es decir, la promesa deliberada y libre hecha a Dios de un bien posible y mejor, debe cumplirse por la virtud de la religión.
§ 2. A no ser que se lo prohíba el derecho, todos los que gozan del conveniente uso de razón son capaces de emitir un voto.
§ 3. Es nulo ipso iure el voto hecho por miedo grave e injusto, o por dolo.
§ 1: c. 1307 § 1.
§ 2: c. 1307 § 2.
§ 3: c. 1307 § 3.
Del voto si parla nel IV libro del Codice (De Ecclesiae munere sanctificandi) perché esso si configura come un vero e proprio atto di culto con il quale l’uomo intende onorare Dio. È condiviso in dottrina che il voto appartiene alla virtù di religione definita come la virtù morale che inclina l’uomo a dare a Dio il culto che gli spetta («religio est quae Deo debitum cultum affert»: Summa Theologica, II-II, q. 81, a. 5). Sempre secondo Tommaso d’Aquino, la virtù di religione, considerata secondo i suoi atti, si distingue in atti interni (devozione, orazione, adorazione) e atti esterni che possono consistere nell’offrire beni esterni, tra i quali sono comprese le promesse espresse mediante i voti (cf ibid., q. 88) oppure nell’usare cose divine come il giurare nel nome di Dio (cf ibid., q. 89).
Contenuto del voto deve essere un bene possibile, cioè moralmente e fisicamente nella disponibilità di chi emette il voto, ma, come è detto nel § 1, anche un bene «migliore», il che implica un confronto e una valutazione tra la scelta che ci si propone e il suo contrario, oppure tra il fare e l’omettere l’azione oggetto di voto: non sarebbe coerente con la natura del voto promettere a Dio qualcosa di meno buono o addirittura cattivo. Oggetto del voto non è un semplice desiderio o proposito interiore, bensì una promessa deliberata e libera. Si tratta perciò di un vero e proprio atto di volontà del fedele che impegna se stesso davanti a Dio (intentio se obligandi), avendo chiara conoscenza dell’oggetto e degli obblighi che esso comporta. Al soggetto che vuole emette un voto è richiesto l’uso di ragione e la non proibizione da parte del diritto. L’uso di ragione è presunto indicativamente verso i sette anni di età (cf cann. 97 § 2 e 99). D’altra parte l’uso di ragione deve anche essere proporzionato alla materia del voto cosicché il diritto positivo potrebbe stabilire un’età maggiore per emettere determinati voti come, per esempio, i diciotto anni per i voti temporanei (cf can. 656, 1°) e i ventuno per la professione perpetua (cf can. 658, 1°). Ancora, per la validità del voto è necessario che la deliberazione sia piena e la libertà perfetta. A tale proposito il can. 126 stabilisce la nullità di qualsiasi atto posto per ignoranza o errore circa la sostanza dell’atto (nello specifico l’ignoranza circa le proprietà essenziali, la materia o la causa del voto) o che ricada sopra una condizione sine qua non. Il § 3 del canone non menziona, tra le cause di nullità del voto, la violenza, perché già il can. 125 § 1 stabilisce in modo generale che ogni atto posto per violenza esterna, dunque per violenza fisica o costrizione alla quale la persona non possa in alcun modo resistere, è inesistente in quanto neppure può dirsi un atto umano. Mentre il can. 125 § 2 stabilisce che l’atto posto per timore grave, incusso ingiustamente, o per dolo, vale a meno che non sia disposto altro dal diritto, ma può essere rescisso per sentenza del giudice, sia su istanza della parte lesa o dei suoi successori nel diritto, sia d’ufficio, il § 3 del can. 1191 dispone che un voto emesso per timore grave e ingiusto o per dolo sia nullo ipso iure. Questo perché il voto rientra, per il diritto, tra quegli atti così importanti nella vita di una persona, da richiedere una completa e totale disponibilità di sé nella libertà. Il timore, cioè la perturbazione della persona (mentis trepidatio) che ne condiziona la volontà per cui un soggetto pone un atto, nel nostro caso un voto, per evitare un male incombente, deve essere grave e provocato dall’esterno ingiustamente. La gravità dipende evidentemente da come una persona percepisce la minaccia del male, per quanto non possa ridursi ad una semplice preoccupazione. Il fatto che sia provocato dall’esterno esclude il timore nato da autoconvincimento o da turbe psichiche, salvo che rientrino nell’incapacità di intendere e volere. Ingiustamente incusso perché il timore nasce da una minaccia fatta in modo illegittimo ovvero da una minaccia legittima ma per un fine illegittimo: il superiore minaccia un professo di voti temporanei provvedimenti sanzionatori per un inadempimento commesso con il fine illegittimo di obbligarlo ad emettere i voti perpetui. Il dolo, invece, condiziona l’intelligenza di una persona per cui questa emette un voto liberamente, ma su presupposti non veri a causa di un inganno. D’altra parte se tali presupposti non veri riguardano la sostanza dell’atto o ciò che ricade tra le condizioni sine quibus non allora non saremmo in presenza di un voto nullo perché emesso per dolo, ma per errore invalidante causato dal dolo.
A. Bamberg, Protección de los votos y nuevas realidades eclesiales, in Ius Canonicum 49 (2009) 603-614; S. Pettinato, De voto et iureiurando. Cann. 1191-1198. Introducción. Comentario, in Comentario exegético al Código de Derecho Canónico, III/2, a cura di A. Marzoa – J. Miras – R. Rodríguez-Ocaña, Pamplona 19972, 1725-1760; M.B. Walsh, The Authority to “dispense” from Vow of Solemn Pledge, in The Jurist 59 (1999) 263-269.
Communicationes 9 (1977) 266-268; 12 (1980) 319-323, 374-375; 35 (2003) 240, 267.