§ 1. Iudices qui, cum certe et evidenter competentes sint, ius reddere recusent, vel nullo suffragante iuris praescripto se competentes declarent atque causas cognoscant ac definiant, vel secreti legem violent, vel ex dolo aut gravi neglegentia aliud litigantibus damnum inferant, congruis poenis a competenti auctoritate puniri possunt, non exclusa officii privatione.
§ 1. I giudici che, essendo sicuramente ed evidentemente competenti, si rifiutano di giudicare, o che non sorretti da alcuna disposizione del diritto si dichiarano competenti e giudicano e definiscono le cause, oppure violano la legge del segreto, o per dolo o negligenza grave procurano altro danno ai contendenti, possono essere puniti dall’autorità competente con congrue pene, non esclusa la privazione dell’ufficio.
§ 1. Mit entsprechenden Strafen, einschließlich der Absetzung vom Amt, können von der zuständigen Autorität Richter bestraft werden, die, obwohl sie sicher und offenkundig zuständig sind, den richterlichen Dienst verweigern oder sich ohne gesetzliche Grundlage für zuständig erklären und Sachen behandeln und entscheiden oder das Amtsgeheimnis verletzen oder vorsätzlich oder grob nachlässig den Streitparteien sonstigen Schaden zufügen.
c. 1625 §§ 1 et 2.
La Commissione per la riforma del Codice si è proposta ha fin dall’inizio di seguire in questo caso il can. 140 SN (cf Communicationes 38 [2006] 70).
Il canone è di natura penale e il § 1 riguarda alcuni delitti che il giudice può compiere nell’esercizio del suo ufficio.
Le fattispecie penali speciali (§ 1) La seconda fattispecie è forse la più frequente: riguarda l’abuso di giudizio temerario: «Iudices qui […] nullo suffragante iuris praescripto se competentes declarent atque causas cognoscant ac definiant». Questa formulazione è stata proposta ex officio dalla Commissione di riforma del Codice in sostituzione di quella presente nel can. 1625 § 1 CIC17 («qui tenere se competentes declarent») «[u]t frequentes abusus hac in re efficacius corrigantur» (Communicationes 16 [1984] 60). La terza fattispecie riguarda la violazione di un segreto stabilito da una legge, quale, per esempio, nel can. 1455 § 1. La quarta fattispecie è residuale: si tratta del delitto compiuto anche solo per colpa grave che inferisca alle parti un grave danno non compreso nelle fattispecie precedenti. Se e per quanto queste fattispecie sono utilizzate in ambito penale, soggiacciono alla interpretazione stretta (che le rende molto limitate nell’applicazione) e agli altri presupposti previsti per l’azione penale. Il foro è individuato secondo le regole generali dei fori competenti. Le fattispecie penali generali (cf art. 75 § 1 DC) Fattispecie disciplinari Scelta delle sanzioni La procedura disciplinare Risarcimento dei danni
La prima fattispecie riguarda l’abuso di denegata giustizia: «Iudices qui, cum certe et evidenter competentes sint, ius reddere recusent». Si tratta di un obbligo del giudice quello di rendere giustizia, complementare al diritto che spetta ai fedeli di essere giudicati nel foro competente (cf can. 221 § 1).
Questo caso si dà anche quando si tratti di incompetenza relativa (cf can. 1407 § 2) e il diritto provveda a sanare l’incompetenza relativa a determinate condizioni (cf, per esempio, art. 10 § 3 DC): secondo la giurisprudenza comune della Segnatura Apostolica il giudice relativamente incompetente che proceda è sanzionabile: «Exceptio competentiae relativae […] in primo iurisdictionis gradu proponenda est […] Exceptione tempestive non proposita, iurisdictio firmatur iudicis […] atvero huiusmodi iudex adhuc puniri potest ad normam can. 1457, § 1» (SSAT, lettera del Prefetto, 3 maggio 1996, prot. n. 26253/95 VT; cf pure decreto del Congresso, 14 marzo 1986, prot. n. 17646/85 VT). L’art. 10 § 3 DC lo prevede esplicitamente: «Si incompetentia relativa ante dubium concordatum non excipitur, iudex ipso iure fit competens, salvo tamen can. 1457, § 1» (corsivo aggiunto).
Non è pertanto accettabile presentare la sanazione (la normativa non usa questa denominazione) ex iure come la possibilità che le parti concordi con l’assenso del giudice scelgano il foro.
DC meritoriamente ordina didatticamente nell’art. 75 le sanzioni che l’ordinamento predispone avverso gli abusi dei giudici, dei ministri e collaboratori del tribunale.
Nel § 1 colloca le sanzioni penali per la violazione di leggi penali:
– can. 1386: «Qui quidvis donat vel pollicetur ut quis, munus in Ecclesia exercens, illegitime quid agat vel omittat, iusta poena puniatur; item qui ea dona vel pollicitationes acceptat»;
– can. 1389: «§ 1. Ecclesiastica potestate vel munere abutens pro actus vel omissionis gravitate puniatur, non exclusa officii privatione, nisi in eum abusum iam poena sit lege vel praecepto constituta. § 2. Qui vero, ex culpabili neglegentia, ecclesiasticae potestatis vel ministerii, vel muneris actum illegitime cum damno alieno ponit vel omittit, iusta poena puniatur»;
– can. 1391, 2°: «Iusta poena pro delicti gravitate puniri potest qui alio falso vel mutato documento utitur in re ecclesiastica»;
– can. 1470 § 2: cf commento al canone.
L’art. 75 § 2 DC colloca i provvedimenti amministrativi e le sanzioni disciplinari per la perdita di requisiti e per gli illeciti disciplinari: si tratta di «neglegentia», «imperitia» e «abusus».
L’autorità competente di fronte ad un abuso compiuto da un giudice ha l’opzione tra il processo penale (se si sono di fatto verificate tutte le condizioni per un delitto), la procedura disciplinare (se di fatto è stata violata una norma deontologica), il provvedimento amministrativo (se è venuto meno un requisito oggettivo per il permanere nell’ufficio) o anche il processo contenzioso per danni (se è stata proposta una petitio di risarcimento). Ciò è possibile perché di fatto in uno stesso atto possono essere compresenti più fattispecie e spetta all’autorità – omnibus perpensis – scegliere o gerarchizzare il rimedio che ritiene più efficace e tempestivo a parità di impegno.
Se l’autorità ecclesiastica intende condurre il procedimento disciplinare, competente è il vescovo Moderatore (cf art. 75 § 2 DC; art. 113 § 1 LP). Non è il Vicario giudiziale, a meno che abbia una delega da parte del Moderatore: al Vicario giudiziale spetta piuttosto elettivamente raccogliere informazioni e prove da trasmettere al vescovo Moderatore.
La Segnatura Apostolica è pure competente a condurre il procedimento disciplinare (cf can. 1445 § 3, 1°; art. 124, 1° PB; art. 113 § 2 LP). Solitamente però lascia che il vescovo Moderatore proceda: «videat, si opus est, provideat et dein referat». Ma non sempre è possibile o opportuno: in questi casi sarà la stessa Segnatura a condurre il processo disciplinare e a infliggere la sanzione disciplinare.
La procedura disciplinare presso il Moderatore può seguire un iter semplificato: avvertire il giudice, dell’illecito rilevato e delle prove raccolte, invitandolo a difendersi, emettendo poi il decreto motivato. Questa decisione sarà ricorribile secondo le norme dei ricorsi gerarchici (cann. 1732-1739) alla Segnatura Apostolica, Dicastero competente ratione materiae a norma del can. 1737.
Le sanzioni disciplinari devono cadere all’interno della competenza di chi le infligge; nel caso del vescovo Moderatore possono spingersi fino alla rimozione o cessazione dall’ufficio nel tribunale del quale è Moderatore (cf art. 75 § 2 DC).
Nell’art. 75 § 3 DC si ricorda la responsabilità che per il giudice che ha commesso un delitto o un illecito disciplinare comporta l’obbligazione e la condanna alla restituzione, riparazione e risarcimento del danno procurato.
Fedele, P., La responsabilità del giudice nel processo canonico, in «Ephemerides iuris canonici» 35 (1979) 217-222.
Grocholewski, Z., Tutela penale della famiglia nei processi canonici di nullità di matrimonio, in La famiglia e i suoi diritti nella comunità civile e religiosa, Roma 1987, 451-460.
Montini, G.P., L’osservanza deontologica come problema disciplinare, ossia il procedimento disciplinare canonico per i ministri del tribunale e per gli avvocati, in Deontologia degli operatori dei tribunali ecclesiastici, Città del Vaticano 2011, 79-112.
Stankiewicz, A., I doveri del giudice nel processo matrimoniale canonico, in «Apollinaris» 60 (1987) 205-225.
In ordine cronologico
Communicationes 38 (2006) 70; 95-96; 41 (2009) 369; 10 (1978) 255; 16 (1984) 60.
Per ulteriori approfondimenti si rimanda al sito monsmontini.it ove prossimamente saranno pubblicate le dispense aggiornate della parte statica del Corso di diritto processuale tenuto nella Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana.